Una battaglia dopo l'altra - Testa o croce? - Le città di pianura 

20.10.2025

Una battaglia dopo l'altra

di Paul Thomas Anderson

Riadattato dal romanzo Vineland di Thomas Pynchon, Una battaglia dopo l'altra sarà un film divisivo, probabilmente più tra il pubblico che tra la critica. Personalmente l'ho adorato e lo trovo una delle pellicole più brillanti del regista, ma prima di ciò è doverosa una premessa. Pur riconoscendo in Paul Thomas Anderson uno delle più raffinate menti cinematografiche contemporanee, non posso dire di essere mai stato un suo convinto ammiratore. Soprattutto le sue opere più recenti mi hanno sempre lasciato un retrogusto amaro, come se, pur sfiorando la grandezza, mancasse sempre quel dettaglio capace di trasformarle in autentici capolavori. I suoi film sono tecnicamente superbi, registicamente eleganti e dai significati sempre molto sottili; tuttavia, credo che a volte tenda a perdersi in alcuni virtuosismi autoriali a discapito di elementi della trama che potrebbero essere approfonditi meglio. Sensazione che invece non ho mai avuto in questo suo ultimo film.

Se le premesse, mi lasciavano presagire il peggio (immaginavo un didascalico film politico dallo scenario distopico con un partito di estrema destra governo, alla V per Vendetta), il film invece mi ha invece piacevolmente sorpreso. In primo luogo per la straordinaria camaleonticità di Paul Thomas Anderson, capace di reinventarsi ancora una volta in un genere difficile; inoltre anche per la forza di un racconto che, attraverso la parabola del gruppo rivoluzionario French 75, riesce a parlare non solo dell'America trumpiana, ma soprattutto dello spirito politico e intellettuale con cui affrontare il presente e immaginare il nostro futuro.

Nonostante il racconto sia contraddistinto da una serie di elementi inconfondibilmente americani che ne definiscono l'identità e il tono, dal rapporto con gli immigrati ispanici alle suore afroamericane che coltivano cannabis, dal colonnello reazionario ai movimenti sovversivi anti-capitalisti, le tematiche che strutturano la trama del film possiedono un carattere quasi a-storico e a-geografico. Tutta quanta la storia, infatti, si articola attraverso una continua lotta tra idealismo e tempo, rivoluzione e cambiamento, che vieta di relegare la questione politica di fondo, al solo contesto statunitense.

In questo senso, Una battaglia dopo l'altra è un film che parla al mondo intero: a tutti i rivoluzionari, gli idealisti, i sognatori, ad un'intera generazione oramai delusa, pigra, e che, in qualche caso, si è ammantata di ideali rivoluzionari al solo fine di nascondere il proprio egoismo. A caratterizzare questa lucida descrizione, c'è sempre una tagliente ironia che risalta le cogenti contraddizioni che il tempo pone davanti a qualunque essere umano, dal rivoluzionario infiacchito e sbadato (Di Caprio) al colonnello solo ipocritamente razzista (un magistrale Sean Penn). Motivo per cui, pur classificandosi nel genere "azione", non manca di soffermarsi lungamente su dettagli solo apparentemente superflui come la lunga telefonata tra Bob e "il funzionario rivoluzionario", ma che invece sono parte costitutiva del film. L'umorismo con cui le questioni squisitamente politiche vengono affrontate rivelano le fragilità con cui, talvolta, persino una rivoluzione organizzata, rischi di rimanere vittima delle sue stesse formalità.

Paul Thomas Anderson ci mostra come gli ideali politici siano costretti a scontrarsi con la realtà e che in conclusione, a noi, attori piccoli di una realtà in continuo cambiamento, non possiamo fare altro che interpretare la storia e continuare a cercare il modo più giusto per combattere le nostre battaglie, senza perdere di vista la preziosità del valore umano e i mezzi con i quali ci proponiamo di realizzare i nostri ideali.

Testa o croce?

di Alessio rigo de Righi e Matteo Zoppis

Uscito al cinema il 2 ottobre, "Testa o Croce?" è il secondo film della sorprendente coppia Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis e si presenta come un originalissimo spaghetti western ambientato nella campagna laziale. Sicuramente uno dei film più interessanti usciti ultimamente, nel quale la narrazione del West americano non viene emulata ma riadattata e smascherata nella sua crudeltà e violenza. Intriso di temi sociali ed epici il film riprende quello scenario agreste che abbiamo già conosciuto con Re granchio, contraddistinguendosi oltre che per il ribaltamento dei classici canoni western anche per lo sviluppo psicologico dei personaggi e le suggestive ambientazioni, che fanno rivivere nelle paludi laziali, la stessa magia dei classici deserti statunitensi.

La vicenda si snoda a partire da un evento realmente accaduto: il tour in Italia dell'acclamato Wild West Show del celeberrimo Buffalo Bill (interpretato da John C. Reilly), nel quale viene messa in scena la famosa conquista del West da parte della nazione statunitense,la vittoria della civiltà sulla barbarie. In maniera molto sottile, il film svela le criticità storiche e mitiche che il genere western pone in essere, dal tema dei nativi americani a quello di una società fortemente diseguale, maschilista e che in nome della promessa del progresso, ha come esito finale solamente quello di rendere i ricchi più ricchi di quanto non lo siano già. Insomma Testa o croce? ci mostra come il racconto sia più importante della storia e di come, a volte, i simboli siano più importanti della verità. D'altro canto l'intera epopea western nasce dalla consapevolezza che, nel West, "se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda", come ci insegnava John Ford e come capisce molto bene Buffalo Bill. In questo senso, attraverso i protagonisti Santino (Alessandro Borghi) e Rosa (una straordinaria Nadia Tereszkiewicz) è possibile rivivere la nascita e il tramonto di un mito epico e rivoluzionario che, ammantato dalle fanfare del progresso, si è rivelato piuttosto avido e violento

Seppur con qualche difetto, Testa o Croce? è una ventata d'aria fresca nel panorama cinematografico italiano, è un film coraggioso, un film di genere che si oppone ai canoni tipici del genere stresso e in cui è visibile, oltre che una regia precisa, una poetica più raffinata rispetto a quella del comunque interessantissimo film d'esordio della coppia. Da vedere assolutamente!

Le città di pianura

di Francesco Sossai

Secondo lungometraggio del regista bellunese Francesco Sossai, Le città di pianura è stato presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2025, candidandosi ad essere un film rivelazione per il cinema italiano. Accolto molto positivamente dalla critica, il film è ambientato in un Veneto grezzo e provinciale dove figurano due sgangherati uomini, Carlo Bianchi e Doriano, alla ricerca del loro ultimo bicchiere. Ad un certo punto al duo si unisce Giulio, un timido studente, che per qualche misteriosa ragione, entrerà per un po' di tempo, nelle vite dei due.

Tra bacari, ristoranti casarecci e strade buie, si consumano le vicende, dove Venezia e la campagna veneta vengono catturate in uno sguardo tanto grottesco quanto suggestivo, che ricorda molto, per lo stile registico, i film nord europei. Credo infatti che più che per il coinvolgimento della trama, Le città di pianura, si presti ad essere molto interessante per il contesto che si staglia attorno alle vicende dei protagonisti nonché per una musica e una regia molto originali.

Nonostante si contraddistingua per un interessante significato simbolico abilmente messo in scena grazie a primi piani e conversazioni a volte quasi surreali, il film non mi ha particolarmente entusiasmato, forse anche per le eccessive aspettative che mi ero fatto. Alcune trame dei personaggi credo che meritassero maggiore sviluppo (ad esempio quella di Genio) e alcuni dettagli registici mi sono sembrati più scenici che utili ai fini della narrazione. Inoltre la storia, che in parte mira ad essere un racconto di formazione per il giovane Giulio, credo non riesca nell'intento di mostrare la crescita che il protagonista dovrebbe aver compiuto. Espressione di quest'ultima dovrebbe essere lo sviluppo del rapporto con la ragazza di cui è innamorato; eppure nell'evoluzione e nella conclusione di questa dinamica, non posso fare a meno di trovare alcuni elementi insoddisfacenti e poco approfonditi.

Insomma Le città di pianura è film che va visto ma che, secondo me, su alcuni aspetti, è ancora un po' acerbo. Sicuramente è una grande novità all'interno del panorama italiano, scritto e diretto da un regista giovane di cui si colgono ampi margini di crescita. Motivo per cui bisogna caprine i difetti ma anche apprezzarne gli indiscussi punti di forza di una storia che, a tratti, ricorda lo spaesamento di Vladimir ed Estragon nella celeberrima opera di Beckett. Con la differenza, però, che anziché aspettare passivamente quel senso incarnato da Godot, Carlo Bianchi e Doriano si muovono nervosamente, procrastinando il più possibile quel momento in cui l'ultimo bicchiere prima di tornare a casa, sarà veramente tale.

Prossime uscite

Se questi tre sono i film principali che hanno segnato l'ultimo mese, tra poco usciranno numerose proposte che meritano sicuramente attenzione. Il 22 ottobre, per pochi giorni e in poche sale selezionate, esce Frankenstein di Guillermo Del Toro, che, acclamato al festival di Venezia, ha tutti i presupposti per essere un ottimo film. Il regista di Il labirinto del Fauno e la Forma dell'acqua, ritorna con una pellicola tua che necessita di essere vista.

In questi giorni alla Festa del Cinema di Roma, inoltre, è stato presentato 5 secondi il nuovo film di Paolo Virzì con Valerio Mastandrea e Valeria Bruni Tedeschi che uscirà in sala il 30 ottobre. Virzì, soprattutto recentemente, è un'incognita. Il regista livornese, infatti, alterna grandi successi (il Capitale Umano, La pazza gioia e gli ormai datati Ferie d'agosto e Ovosodo) a film deludenti (i recenti Siccità e Un altro ferragosto), speriamo dunque che questo sia il film che possa rilanciarlo. Le aspettative non sono altissime ma più volte negli anni, Virzì ha saputo stupirci.

Infine merita sicuramente attenzione Bugonia di Yrgos Lanthimos, che sembra essere migliore del non bellissimo Kinds of Kindness, che eccezion fatta per le interpretazioni di Emma Stone e Jesse Plemons, aveva veramente poco che poteva essere salvato. Il regista greco autore ha abituato a fantastici film tra The lobster, La favorita, Dogtooth e Povere creature, ed è pronto a rilanciarsi con un nuovo film che gioca sul confine tra realtà e finzione, o meglio, verità e complotto. Personalmente ho ottime aspettative e la critica lo ha accolto abbastanza positivamente: dal 23 ottobre non resta che correre al cinema.

- Alessandro Marotta


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