Ogni domenica la stessa litania: invece di parlare di calcio, bisogna parlare di arbitri. E l'episodio scoppiato in Milan–Lazio è l'ennesima dimostrazione di un sistema che si è infilato da solo in un vicolo cieco, dove la tecnologia — nata per chiarire — finisce per confondere e screditare. Quanto accaduto a San Siro non è un semplice errore:...
"The Best", la maledizione del Quinto Beatle
Nell'umile quartiere operaio di Cregagh Estate, sobborgo di Belfast, il 22 maggio 1946 nacque un ragazzino destinato a sconvolgere totalmente il mondo dello sport con la sua personalità stravagante e la sua classe cristallina.
Figlio illegittimo della working-class –il ceto lavoratore occupato nelle industrie cantieristiche e nelle fabbriche tessili dell'hinterland– George Best trascorse gran parte della sua infanzia assieme ai suoi nonni paterni, poiché entrambi i genitori erano spesso impegnati negli estenuanti e interminabili turni di lavoro.
Il piccolo George era un bambino introverso, schivo, quasi irritante in alcuni suoi atteggiamenti ai limiti dell'indolenza, ma altresì dotato di una grande intelligenza e maturità, nonché di un talento incommensurabile per il calcio e di una naturale predisposizione, palesatasi solo qualche anno più tardi, a finire sulle prime pagine dei magazine di moda di tutto il mondo.
L'APPRODO NEL PROFESSIONISMO
Nel 1962, dopo aver rifiutato l'ammissione alla prestigiosissima Grosvenor High School poiché sarebbe stato obbligato a praticare il rugby, venne dapprima scartato dal Glentoran, club della prima divisione nordirlandese, salvo poi essere notato da un osservatore, tale Bob Bishop, inviato direttamente dall'Inghilterra per conto del Manchester United di Sir. Matt Busby, intento a ricostruire dalle fondamenta la leggendaria squadra decimata dal tragico incidente aereo di Monaco di Baviera del '58. George, benché fosse un grandissimo tifoso del Wolverhampton –rivale dello United e grande 'classica' del football d'oltremanica– decise di accettare l'offerta e, presa la prima nave diretta al porto di Liverpool, trovò una casa a Chorlton, non lontano dal centro sportivo dei Red Devils, e fu da subito aggregato alla squadra giovanile.
GLI ESORDI
Era 14 settembre 1963. La figura austera di Sir. Busby, iconico allenatore dello United, si avvicinò verso il giovane ragazzo dall'accento nordirlandese, e con il suo fare distaccato pronunciò le seguenti parole: «Oggi entri, figliolo». Niente enfasi né mezzi termini, solo l'inizio di una leggenda infinita, l'ascesa di un mito. Di lì a poco tempo George Best divenne uno dei migliori giocatori al mondo e probabilmente l'ala destra più grande di sempre; ma fu proprio con l'avvento della popolarità che iniziò il declino emotivo e caratteriale: dopo le partite, che in genere terminavano con una vittoria di misura, George, Bobby Charlton, Denis Law e Eddie Gray erano soliti trascorrere serate nei locali di Manchester, non disdegnando compagnia femminile, Champagne o qualche bicchiere (si fa per dire) di Scotch o Brandy.
Per un impacciato ragazzo di Belfast, passato da essere un normalissimo teenager di periferia a star del calcio mondiale, il modo più semplice per integrarsi ed approcciare al gentil sesso era perciò senza dubbio quello di lasciarsi cadere tra le calde braccia di Dioniso e godersi una fama viziosa ed autodistruttiva.

I SUCCESSI
Nel frattempo lo United, trascinato proprio dalle prodezze di Best, vinse ben due campionati (1964/65 e 1966/67) e una storica Coppa dei Campioni nel 1968 contro il Benfica di Eusebio, marchiata da un gol sublime dello stesso George Best e da un'indimenticabile doppietta di Sir. Bobby Charlton, oltre che dalle reti di Brian Kidd e Jaime Graça, che suggellarono un pesante 4-1 e regalarono la prima gioia continentale alla città di Manchester. Quello stesso anno Best vinse anche il Pallone d'Oro in qualità di miglior giocatore europeo e raggiunse probabilmente la vetta più alta della sua carriera, a soli ventidue anni.
Una stella lucente nel firmamento mondiale.
Una stella destinata a spegnersi velocemente.
I VIZI E GLI ECCESSI
Ma contemporaneamente allo status symbol di vip e icona mondana, di cui è probabilmente il primo grande antesignano in ambito sportivo, si fece sempre più pressante la dipendenza dall'alcol, che causò in Best momenti di depressioni molto prolungati e bruschi cali di rendimento, accentuati anche dal ritiro del suo mentore e padre putativo Matt Busby, sostituito dal nuovo c.t. McGuinness e poi da Frank 'O Farrell. Nel '72, dopo un paio di stagioni ad ottimi livelli (quella 1969/70 conclusa anche da capocannoniere del campionato) le sue intemperanze caratteriali e i suoi numerosi eccessi lo portarono ad essere malvisto da buona parte della dirigenza e dello staff tecnico, accentuando un declino, sia professionale che caratteriale, che sembrava essere ormai già scritto. Emblematico fu l'episodio che lo vide protagonista durante quella stessa annata: dopo aver rimediato un cartellino rosso nel big match contro il Chelsea, si rifiutò di allenarsi, a seguito di polemiche con stampa, tifosi e manager societari, per un'intera settimana, preferendo la compagnia di Carolyn Moore, Miss Gran Bretagna in carica, alle ripetute di scatti e alla preparazione atletica

IL MITO
Eppure, al di là dell'aspetto prettamente calcistico, George Best ha incarnato una sorta di ideale, una condizione sociale rivoluzionaria ed innovativa, che ha portato, nel corso degli anni, all'affermarsi di grandi sportivi in ambito mondano e culturalmente profano, conferendo agli atleti, in molti casi, una celebrità e un'influenza socio-commerciale sconfinata. Benché ora non appaia strano che un grande calciatore, un pilota titolato o un famoso cestista abbiano un proprio brand e siano sponsor delle più grandi aziende al mondo, verso la fine degli anni '70 ciò era completamente inusuale e la popolarità era vissuta in maniera più marginale e ridotta.
Rivoluzionario e controcorrente.
«Ho speso gran parte dei miei soldi per donne, alcol e automobili. Il resto l'ho sperperato».
George Best, la quintessenza della follia.
-Francesco De Paolis
Scopri anche...
È stato un turno che non ha solo mosso la classifica: l'ha scossa. L'ha interpretata. L'ha riscritta secondo logiche nuove, figlie dell'identità, ritrovata o smarrita, delle grandi. Un turno in cui è emerso con forza un principio: le squadre che hanno scelto una strada precisa stanno crescendo. Quelle che ancora non sanno chi sono, invece, restano...
Il periodo che sta vivendo l'Italia sportiva appare unico nella sua assurdità: se da un lato il mondo intero acclama il più grande tennista di questa generazione, dall'altro la nostra nazionale di calcio, seconda per successi solo al Brasile, viene nuovamente esposta al pubblico ludibrio, orfana di fuoriclasse e sull'orlo di un'ennesima delusione. ...





