Ogni domenica la stessa litania: invece di parlare di calcio, bisogna parlare di arbitri. E l'episodio scoppiato in Milan–Lazio è l'ennesima dimostrazione di un sistema che si è infilato da solo in un vicolo cieco, dove la tecnologia — nata per chiarire — finisce per confondere e screditare. Quanto accaduto a San Siro non è un semplice errore:...
Pasadena '94, l'error fatale
Era un caldo pomeriggio californiano, una giornata estiva simile a tante altre nella contea di Los Angeles. Le strade silenziose e la pacifica quiete erano tuttavia il preludio dell'evento più atteso dell'anno, quello per cui milioni di bambini si barricano di fronte al televisore, incuranti dell'aria rovente e dei rimproveri delle madri.
Il 17 luglio 1994, imbottigliati nella coltre d'afa del Rose Bowl Stadium di Pasadena, si giocava la finale della Coppa del Mondo tra il Brasile di Santana e l'Italia di Arrigo Sacchi. Gli azzurri, nelle partite precedenti, non avevano quasi mai brillato sotto il profilo del gioco e della fluidità offensiva, forse ingabbiati dai troppo rigorosi tatticismi del proprio allenatore. Le principali note positive di quell'esperienza mondiale furono però senza dubbio le prestazioni stellari di Roberto Baggio che, con una doppietta alla Nigeria, un gol in extremis contro la Spagna e altre due reti messe a referto nella durissima semifinale contro la Bulgaria di Stoichkov, stava trascinando l'Italia verso un trionfo sfumato ad un passo già quattro anni prima.
Sebbene fosse reduce da un fastidioso guaio fisico rimediato in allenamento, il fantasista di Caldogno fu regolarmente schierato dal primo minuto, assieme al convalescente Franco Baresi, capitano carismatico e leader della difesa.
LA PARTITA
Un Brasile offensivamente letale, ma non sempre impeccabile nelle letture difensive, si trovava contro un'Italia coriacea, non eccessivamente brillante né propositiva ma ben serrata a protezione della porta. Da questi chiari presupposti si delineò già dai primi minuti una partita fisica, sporca, dura; sviluppi che non rispecchiavano affatto le possibilità tecniche delle due rose, poche occasioni create e tanti interventi fallosi, caratterizzarono i novanta minuti regolamentari, assai meno spettacolari del previsto.

LA LOTTERIA DEI CALCI DI RIGORE
Il pareggio a reti bianche costrinse le due formazioni a decidere le sorti del mondiale, per la prima volta nella storia del calcio, dal dischetto degli undici metri. Sino a quel momento la tradizione dei rigori non aveva sorriso agli azzurri, beffati sul più bello nella semifinale del mondiale casalingo del '90 dall'Argentina di Maradona: In quell'occasione furono decisivi gli errori di Aldo Serena e Roberto Donadoni, che condannarono l'Italia ad una cocente eliminazione di fronte al proprio pubblico.
Il primo a prendersi l'incarico della battuta sulle spalle fu Franco Baresi, che, stremato dalle oltre due ore di gioco, spedì la sfera sugli spalti, facendo esultare i tifosi carioca. Il secondo rigore fu sbagliato da Márcio Santos, ristabilendo così la parità.
Seguirono le reti Albertini, Romario, Evani e Branco.
Ancora pari.
Poi, il colpo di sfortuna: Massaro fu ipnotizzato dall'estremo difensore brasiliano Taffarel, e Dunga, con il rigore successivo, portò avanti i suoi.
IL SILENZIO PRIMA DELL'ATTIMO
L'ora della verità era giunta.
Roberto Baggio, sul dischetto, poteva decretare la fine del mondiale o alimentare, almeno per qualche secondo ancora, le fioche speranze italiane: Con un suo errore la coppa sarebbe andata al Brasile, se avesse segnato, invece, la formazione verdeoro avrebbe avuto comunque a disposizione un altro tentativo per portare a casa la finale.
Il destino sportivo di una nazione era affidato all'uomo che più di tutti aveva saputo esaltarsi nei momenti di difficoltà.
Istanti infiniti prima del fischio dell'arbitro.
Rincorsa decisa, pallone sopra la traversa e vittoria al Brasile.
Le lacrime iniziarono a rigare il volto del campione, immobile al centro dell'area di rigore.
Amarezza e rimpianto per un successo sfumato dolorosamente.

C'è chi dice che nessun uomo possa morire in piedi. Eppure, quel maledetto 17 luglio '94, il fuoriclasse col numero 10 sulle spalle ci andò sicuramente molto vicino.
Roberto Baggio, la dignità della leggenda anche nella più amara delle sconfitte
-Francesco De Paolis
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