Una volta crollato l'Impero, quindi, si pensò bene di
replicare ciò che si fece a Berlino con l'Africa.
Nel 1916 un diplomatico inglese, il colonnello sir Mark Sykes, fiutando la
possibilità di allargare ulteriormente il controllo britannico sul globo,
tracciò su una cartina dei nuovi confini. Totalmente arbitrari.
Andavano da Haifa a Kirkuk. Dall'attuale Israele al Nord-est dell'odierno Iraq.
I capolavori diplomatici, però, non si fanno mai da soli.
Ecco, quindi, che l'altro attore principale della storia del colonialismo, la
Francia, non si fece trovare impreparato.
La sua rappresentanza era delegata a Francois Georges-Picot, che siglò
l'accordo con Sykes per spartirsi le zone d'influenza. Le regioni a nord della
linea (non c'è un modo diverso di chiamarla, fu deciso tutto a tavolino) erano
destinate allo Stato francese, quelle a sud al Regno britannico.
Questa convergenza di interessi, una volta firmata, prese il
nome di "accordo Sykes-Picot". I nomi dei due diplomatici.
Tutto ciò sarebbe diventato effettivo, però, solo
"nell'eventualità in cui l'impero ottomano cadesse".
Britannici e francesi erano ovviamente a conoscenza della situazione fragile in
quelle terre. Col senno di poi si può quindi affermare che, la caduta
dell'Impero, non fosse un'eventualità. Direi più un fatto certo di cui non si
conosceva la data.
Prima del Sykes-Picot non esistevano Siria, Libano,
Giordania, Iraq, Arabia Saudita, Israele e Palestina. I turchi nel loro lungo
periodo di dominio non diedero mai nomi e confini ben delineati a queste zone.
E se sono riusciti ad essere padroni di quei territori
per quasi 700 anni, un motivo c'è.