Riadattato dal romanzo Vineland di Thomas Pynchon, Una battaglia dopo l'altra sarà un film divisivo, probabilmente più tra il pubblico che tra la critica. Personalmente l'ho adorato e lo trovo una delle pellicole più brillanti del regista, ma prima di ciò è doverosa una premessa. Pur riconoscendo in Paul Thomas Anderson uno delle più raffinate...
Jannik Sinner è il simbolo della nuova generazione
1976. 48 anni dall'ultimo Grande Slam maschile vinto da un
italiano. Non è un caso, a mio parere, che questo digiuno lunghissimo sia stato
interrotto da un ragazzo timido, umile, della tanto chiacchierata generazione z. Odio
utilizzare questo termine per descrivere i miei coetanei, ma la parola "giovani"
mi infastidisce ancor di più. Non è un'antipatia lessicale dovuta alla parola
in se, per carità, la nostra lingua è meravigliosa.
Il mio essere restìo all'utilizzo del termine è dovuto al fatto che troppe volte questo sia accostato a qualcosa di negativo, denigrante, nostalgico. "I giovani non hanno voglia di lavorare", "I giovani non sanno cosa li attende lì fuori, nel mondo vero".
Ah, che goduria. Un ragazzo di 21 anni ha dimostrato a tutti i suoi colleghi più anziani, i vari Seppi, Fognini, come si vince. E come lo si fa con stile. Senza fare pagliacciate per le quali veniamo ancora derisi ("Dai Pascal", per citarne una).
Questo non sarà un articolo di tennis. Nelle ultime 48 ore ne saranno stati pubblicati un migliaio. Questo è un pezzo sociologico, che utilizza l'esempio lampante per sostenere la mia tesi.

Jannik Sinner è un ragazzo del 2001, altoatesino, a cui piaceva sciare. Era uno dei migliori, ma durante la crescita si è reso conto di preferire il tennis. Viene da una famiglia sana, che lo segue in ciò che fa, e sale sul tetto del mondo a 21 anni. Coppa Davis e Grande Slam. Entrambi mancavano dai tempi di Panatta.
Panatta è un signore degli anni '50, la sua famiglia è
umile, una di quelle che ha visto la guerra. Il padre fa il custode nei campi
da tennis del Tre Fontane. Fa parte di quella generazione che ha vissuto il
boom economico, ci ha fatto il bagno dentro, ci si è cullato, ed è diventato un
fenomeno. Ha vissuto gli anni delle pensioni a trent'anni, del clientelismo,
dello stare bene, della fiducia. Si inaugura l'autostrada del sole, gli
elettrodomestici diventano accessibili a tutti, si vive senza paura per il
futuro. Vince il Rolland Garros e la Coppa Davis nel 1976, e passa alla storia.
Da questo momento in poi iniziano i dolori. Credo fermamente che gli anni '80 e inizio '90 siano stati la rovina del nostro Paese, della società italiana.
Gli anni '80 sono contraddistinti dalla cultura dell'anti-politica,
figlia della nausea dei '70, costellati
da stragi, culminate nel tragico 2 Agosto di Bologna. Milano diventa la
capitale della moda, le tv private si espandono. Si diffonde l'interesse per l'effimero, il consumismo vero e proprio. Inevitabilmente, chi cresce in quegli anni lo fa
con l'imprinting datogli dai propri genitori. Quindi:" lavoro c'è", "fai quel
concorso lì, che ti piazzi", "conosci questa persona", "l'inglese non serve". C'è
addirittura chi raggiunge posti ad alti ranghi con il solo diploma liceale. È normale,
però, che le cose cambino, che la situazione economica sia diversa, che alcuni scandali
giudiziari facciano crollare il castello di carta che perdurava da mezzo
secolo.
E, quindi, il vecchio sistema non regge più. Le vecchie consuetudini non funzionano
più.
Chi viene allevato sulle ceneri dell'ormai vecchio status quo, inevitabilmente, non riesce ad adattarsi al cambiamento.
Non è ovviamente una colpa. Le persone nate in quei
due decenni non hanno potuto scegliere in quale sistema vivere. Resta il fatto,
però, che la classe dirigente germogliata da quei semi si sta dimostrando
scadente. E sono stato generoso (Luigi di Maio).
È assurdo, o almeno illogico, scatenarsi contro quella fetta di società che non ha ancora potuto dimostrare di cosa è capace. Parlo di noi. Parlo dei "giovani" di adesso. Vi prego di non pensare che io stia cadendo nella retorica, nella reazione al malcontento che ci gira attorno. Affermo quello che penso realmente. Anche perché potrei tranquillamente fare il contrario. Se fossi presuntuoso (dimostrando di essere anche un vanitoso) potrei sollevarmi dall'alone di superficialità col quale viene descritta la mia generazione, perché comunque ho questo blog, insieme ad un altro ragazzo, e questo potrebbe farmi sentire superiore.
Dal momento che ovviamente non è così, anche perché la
pagina su Instagram ha 70 follower, e quindi sarei alquanto ridicolo, quello
che dico lo penso, e lo faccio comprendendo tutta la fascia dei miei coetanei.
Siamo una generazione in gamba. Pochi di noi non sanno almeno 2 lingue. Pochi di
noi non sanno utilizzare bene la tecnologia. Pochi di noi sono maleducati. Ci sono,
per carità. Ma i ragazzi per bene sono davvero sani, genuini, timidi. Come
Sinner. Forse anche troppo timidi, perché sarebbe ora di ribellarsi allo
stereotipo generale di questo Paese, sarebbe ora di prenderci il nostro spazio e
cercare, quantomeno cercare, di cambiare le cose.
In un'intervista che ho realizzato girando per Roma, dopo l'arrivo di Daniele de Rossi in panchina, un ragazzo mi ha detto:"Peggio di Mourinho non si può fare". Bene, credo che peggio di chi ci ha preceduti, e al contempo ci massacra, non si possa fare. Quante persone comuni sui 30 o i 40 conoscete che sappiano qualcosa di politica, ad esempio? E quelle di 20 anni? C'è una bella differenza. Parlo di cose basilari, non di nicchia.
Facciamo come Jannik. Senza sceneggiate, con i fatti, arriviamo più in alto che possiamo.
Perché siamo in grado di farlo, perché siamo meglio degli altri.
-Matteo Fanelli
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