Ogni domenica la stessa litania: invece di parlare di calcio, bisogna parlare di arbitri. E l'episodio scoppiato in Milan–Lazio è l'ennesima dimostrazione di un sistema che si è infilato da solo in un vicolo cieco, dove la tecnologia — nata per chiarire — finisce per confondere e screditare. Quanto accaduto a San Siro non è un semplice errore:...
Il calcio che sogno
In un ambiente calcio che nell'arco di qualche decennio è mutato così radicalmente – così come la società tutta, del resto – spesso si tende a guardare indietro, forse a ragion veduta, per ritrovare, rivivere, ricordare, emozioni e sentimenti che difficilmente si riproporranno.
Si guarda indietro per cercare mentalmente di fuggire da un calcio manageriale, per isolarsi spiritualmente dalle cifre astronomiche che ruotano attorno all'intero movimento, per alienarsi dall'esasperazione di opinionisti imbonitori e dal rombo tonante di una stampa impietosa, superficiale e spesso poco attendibile.
L'EVOLUZIONE
Nel corso dell'ultimo trentennio, a partire dall'introduzione delle Pay TV, l'universo calcistico è piombato all'interno di un'intricata spirale che ha finito per rendere uno sport in origine popolare, uno sport proletario, un'enorme fabbrica di profitto.
Non che il meccanismo del guadagno fosse totalmente assente in precedenza, lo era forse agli albori, a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, ma è vero, di contro, che nell'ultimo periodo i segnali che dai vertici sono pervenuti agli appassionati non fanno presagire un ritorno al passato.
Anzi, tutt'altro.
Per non essere fagocitate dalla logica travolgente della corsa al profitto, anche squadre di media o piccola fascia sono costrette a guardare verso altri lidi, a sperare che qualche fondo d'investimento saudita le rilevi, e che qualche ricco presidente estero si faccia carico di debiti, deficit e oneri, così da potersi salvare da un crack finanziario che incombe tenebroso all'orizzonte.
Talvolta neanche le grandi classiche del calcio continentale galleggiano in buone acque: si pensi al caso tanto discusso della SuperLega, competizione elitaria ideata ad hoc per generare nuovi introiti nelle casse di quei club che, nonostante il blasone, la storia e l'immagine del proprio brand, fanno fatica a mantenere il proprio bilancio su livelli ragionevoli.
Barcellona, Real Madrid, Juventus, Manchester United sono solo alcune delle società coinvolte nel vortice dell'indebitamento. Esse rappresentano la sola punta di un iceberg assai più profondo e spaventoso, che coinvolge appieno l'intero sistema e che spesso si rivela fatale per alcune realtà che non sono in grado di ottenere sostegno e vigore dal mondo della finanza.

UN RITORNO AL PASSATO
Sarà forse un'affermazione impopolare, divisiva, fastidiosa, ma personalmente ritengo che il calcio di qualche decennio fa conservasse più vivi gli ideali di uno sport che, ancor prima che business, era sentimento.
Quel calcio di presidenti-tifosi, che avrebbero fatto di tutto per vedere la propria squadra vincere almeno uno scudetto (e che in ultimo sono stati persino causa di fallimenti e retrocessioni), di capitani e bandiere, di numeri dieci anarcoidi cui una precisa collocazione in campo era impossibile individuare.
Quel calcio che nella Capitale, nell'Urbe, era rappresentato da Giannini e Signori, in quei derby interminabili avari di spettacolo ma ricchi di emozioni, in cui spesso bastava una giocata di troppo per accendere la fatale scintilla.
Rimpiango quel calcio che univa, invece di dividere.
Quel calcio di papà con i figli sulle spalle, di sciarpette ben salde al collo e non legate in vita, di televisori in giardino durante le partite della nazionale.
Sogno di tornare indietro, in un periodo che anagraficamente non ho vissuto, per poter vedere la magia di Italia '90, l'effimera illusione di Usa '94, l'incanto di Gascoigne alla Lazio e la perfezione del Milan degli olandesi.
Sogno un calcio irrimediabilmente in via d'estinzione: un calcio in cui anche una piccola squadra può fantasticare di battere una big e magari concorrere per un buon piazzamento in classifica.
Sogno un calcio che non sia determinato a priori da differenze economiche incolmabili e che riscopra la propria vocazione popolare, vera essenza di uno sport tanto amato e seguito.
-Francesco De Paolis
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