L'OCCUPAZIONE
Il 12 settembre 1919, all'alba, Gabriele D'Annunzio, partito da Ronchi alla testa di una colonna di militari, reduci, Arditi e ribelli, marciò verso Fiume e vi entrò, ignorando i richiami del governatore militare della città, il cui compito era appunto quello di amministrare e garantire l'ordine fino al termine delle trattative. Nel pomeriggio dello stesso giorno, il Vate si affacciò dal palazzo del governatore e, tra le acclamazioni e il giubilo della popolazione italiana, proclamò l'annessione.
In Italia si aprì una fase di acceso confronto tra le varie forze politiche. Sebbene parte della destra liberale guardasse con malcelato interesse l'iniziativa dannunziana, la quale certamente accendeva gli spiriti dei nazionalisti più ferventi, la classe dirigente nella sua interezza doveva tenere conto dei possibili risvolti sul piano internazionale. Una frattura con la neonata Jugoslavia, oltre che con le potenze vincitrici, sarebbe stata difficile da risanare nel quadro instabile dello scenario postbellico.
Il governo presieduto dal liberale Francesco Saverio Nitti, nonostante i vari ultimatum ignoranti da D'Annunzio, non riuscì a razionalizzare i rapporti con lo stato jugoslavo. Né tantomeno fu in grado di porre fine alla folle occupazione di Fiume.