Contro la violenza di genere, la battaglia di tutti

27.11.2023

Io e Francesco, i fondatori di questo blog, abbiamo riflettuto a lungo sulla nostra esposizione sul tema dei femminicidi e della violenza di genere. Non sapevamo se prendere parola fosse la scelta giusta da fare, o se rispettare il momento in silenzio.
C'è poi un altro aspetto che ci ha fatto tentennare. L'idea che un testo, in questi giorni, a proposito della violenza sulle donne, potesse generare un'ondata di critiche ideologiche che avrebbero potuto contaminare la sanità della pagina.

Sebbene, come detto, la meditazione non fosse sospinta solo da quest'ultimo punto, proprio da qui è necessario partire.

È corretto affermare che la violenza sulle donne sia una piaga che riguarda tutti, la società. È altresì corretto, quindi, richiedere uno sforzo da parte di tutta la componente umana per arrivare ad un'eliminazione del problema. 

Come però lo sport, la storia, la politica, insegnano, è l'unione che rende possibile il successo. Uno spogliatoio in cui ci si scanna prima di scendere in campo porta alla sconfitta.

Una guerra senza alleati non si vince.

Una coalizione di governo al cui interno figurano personalità che mirano più ai propri interessi che al bene della coalizione, è destinata a cadere.

Attaccare una frangia in nome di una causa giusta, sì, ci fa sentire meglio, ci trasmette il senso di appartenenza. Non stiamo però parlando all'interno di una curva di uno stadio.

Si parla di donne, esseri umani, che subiscono violenze, che in alcuni casi (troppi) si tramutano in morte.
E, credete, voi dalle Instagram stories intasate, che la soluzione sia farsi nemica proprio quella fetta della società che invece andrebbe inclusa nel dibattito, con la quale bisognerebbe lottare fianco a fianco?

Il problema non sono tutti gli uomini, e alla fine un po' tutti siamo d'accordo con questa affermazione.
Non cadrò quindi nel banale vittimismo (tuttavia legittimo) di chi si è sentito attaccato direttamente per un omicidio e, più in generale, per il possesso di una forma mentis che non gli appartiene e che probabilmente è il primo a rifiutare.

Parlo invece della strategia per poter davvero cambiare le cose. Elemento che, purtroppo, troppe volte è mancato in questi giorni, preferendogli le chiacchiere da bar e le bandiere del femminismo contrapposte a quelle del patriarcato.

C'è un problema nella società? Si. Problema che si materializza sia nei fidanzati che chiedono la foto alle proprie compagne per controllargli l'outfit, sia in quelle ragazze che non prendono la macchina quando si esce la sera, perché sanno che, in quel caso, il patriarcato gli ritornerà utile.

I due comportamenti ovviamente hanno pesi specifici differenti, ma il discorso è uno.

Si vuole smontare il sistema? Lavoriamoci, tutti, insieme, uniti. Senza fare guerre civili che portano solo all'allontanamento tra le parti, e soprattutto SENZA ESCLUSIONE DI COLPI!

Dimostriamolo sul campo che donne e uomini sono uguali.

Dimostriamolo che se non ci va di fare sesso lo rifiutiamo, perché siamo uomini e non animali. Dimostriamolo che si può essere uomini senza essere violenti. Dimostriamolo che anche noi uomini possiamo piangere, possiamo avere freddo. Dimostriamolo il rispetto verso una donna che riesce in qualcosa più di noi, perché semplicemente più brava, senza cercare di screditarla. Dimostriamolo ai nostri amici che si può andare in discoteca per divertirsi, e non per forza per appoggiarlo ad una ragazza mentre sta per conto suo.

Dimostriamolo che possiamo andarci da sole a ballare, e che non ci serve il passaggio, perché siamo donne, e sappiamo guidare, proprio come gli uomini. Dimostriamolo che se vogliamo una cosa ce la andiamo a prendere, senza aspettare che qualcuno lo faccia al posto nostro, o che se ci piace un ragazzo non è necessario aspettare che lui, in quanto "l'uomo", faccia il primo passo. Perché siamo donne, e il primo passo lo sappiamo fare anche noi. Dimostriamolo che il rispetto del bravo ragazzo (ma bravo veramente, non come l'assassino che non merita neanche di essere nominato in questo spazio sacro) lo preferiamo al senso di incertezza, inadeguatezza, che altri ci fanno provare. Perché siamo donne, non crocerossine, e vogliamo qualcuno che ci tratti bene.

Dimostriamolo, che questo sfondo di patriarcato si può smantellare.

Lo si deve fare dall'interno, insieme, uomini e donne.

Lo si deve fare, semplicemente, in quanto persone. 


Di fronte ad una perdita così lacerante, dinanzi ad una morte così violentemente prematura e al cospetto di un lutto tanto straziante da lasciar senza parole anche il più cinico degli indifferenti, è anzitutto doveroso esprimere cordoglio e dispiacere.

Ma le parole, nonostante la sconfitta, si devono trovare, e vanno scelte con oculatezza ed attenzione.

Sebbene il trauma che l'intera popolazione ha subito in seguito ad un ennesimo episodio di così enorme atrocità sia oltremodo grave e doloroso, ciò non impedisce di condurre un'analisi lucida e consapevole della realtà che ci circonda.

Il moto d'orgoglio e di rabbia di una buona fetta della nazione è sotto un certo punto di vista comprensibile, e perché no, forse anche naturale, ma la narrazione che si sta portando avanti, specialmente tramite media e social network, non è probabilmente altrettanto legittima.

L'estensione di un problema, per carità, certamente sociale e di vasta portata ad un intero genere, e l'assunzione di responsabilità acclamata a gran voce da un'ampia sezione di movimenti e organizzazioni metapolitiche è senza alcun dubbio un'inesatta semplificazione di un fenomeno, quello della violenza di genere, che necessiterebbe di una disamina maggiormente accurata.

Tanti degli slogan che in queste ultime ore stanno spopolando sul web, oltre a spostare il focus dalla tragedia che si sta vivendo, tendono a colpevolizzare, o quantomeno a coinvolgere, tutt'una pluralità di uomini che invece non si rivede affatto, e viene da dire per fortuna, in questa angosciosa e polarizzante contrapposizione tra oppressi ed oppressori proposta dai più. La lotta contro la violenza nei confronti delle donne deve essere condotta in armonia tra le varie componenti della società, affrontando insieme la prova più grande del nostro tempo: sfidare un passato certamente homocentrico e maschilista per costruire tutti assieme un futuro più giusto, eguale, pacifico.

E per fare questo, non si deve alimentare quella visione societaria antipodica e conflittuale che tanto spazio sta guadagnando in questi giorni. Per fare questo non si devono innalzare barricate. Non è necessario scavare trincee e individuare la "zona nemica" e quella amica.

Soprattutto perché, in questa battaglia, il nemico comune non è l'uomo.

Non tutti gli uomini sono misogini. Non tutti gli uomini sono assassini. Non tutti gli uomini sono complici, direttamente o indirettamente, di quel sangue innocente versato.

Il nemico da combattere non ha carne e non ha ossa, è immateriale e intangibile, e striscia serpeggiante all'interno delle nostre case e sui marciapiedi delle nostre strade.

Il nemico da combattere è la cultura del possesso, quella irrazionale convinzione che postula la subalternità di un essere rispetto all'altro.

Il nemico da combattere è l'incapacità di accettare un fallimento, di saper ricevere un "no", di accogliere una delusione struggente con dignità e moderazione.

E per sradicare queste assurde e nocive contaminazioni che affliggono la nostra comunità si deve procedere all'unisono, in comunione d'intenti, senza striscioni e bandiere, armati di dialogo e motivazione. Tutti insieme.

-Matteo Fanelli e Francesco De Paolis


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