Per comprendere questa rivoluzione, occorre guardare al contesto di crisi profonda che attraversava la Russia nei primi anni del Novecento. L'Impero zarista, retto da Nicola II, era un colosso fragile.
La Russia era una società agricola arretrata, governata da un'élite autocratica e fondata su un sistema economico incapace di sostenere le tensioni della modernità. La Prima guerra mondiale, scoppiata nel 1914, aggravò ogni contraddizione. Milioni di soldati russi morirono al fronte, mentre nelle città la fame e la miseria dilagavano.
Nel febbraio del 1917, un'ondata di scioperi e manifestazioni a Pietrogrado costrinse lo zar ad abdicare. Si formò allora un governo provvisorio presieduto da Aleksandr Kerenskij, che cercò di conciliare la spinta rivoluzionaria con la necessità di proseguire la guerra. Ma quella scelta risultò fatale: l'esercito era allo stremo, la popolazione chiedeva "pace, terra e pane", e i soviet guadagnavano influenza.
In questo scenario rientrò in Russia Lenin, esule in Svizzera, che nel suo celebre programma delle Tesi di Aprile propose di "trasformare la guerra imperialista in guerra civile" e di consegnare il potere ai soviet. La sua visione radicale trovò terreno fertile tra i bolscevichi, la frazione più rivoluzionaria del Partito socialdemocratico, e tra le masse stanche di promesse disattese.